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Margherita Casalini

Margherita Casalini

University / School

Istituto Modartech

FREEVOLOUS

Per me, la moda non è un punto di partenza, ma un contenitore. Un mezzo, una facciata che mi consente di esplorare e comunicare ciò che mi abita dentro. Dietro ogni collezione si cela un universo, e ogni abito ne rappresenta solo un frammento, una traccia della storia che desidero raccontare.
Circa un anno e mezzo fa, qualcosa ha iniziato a chiamarmi: un luogo lontano, Bali. Non c’era una ragione precisa, solo una curiosità silenziosa e profonda. Non potendo partire fisicamente, ho trovato un altro modo per avvicinarmi: un viaggio immaginario fatto di abiti, suoni, immagini, parole. Una finestra aperta su quel mondo, osservato dalla mia scrivania. È da lì che la mia visione ha iniziato a cambiare.
Ho compreso che le etichette non mi definiscono. Non voglio incasellarmi. Amo viaggiare, osservare, lasciarmi toccare da dettagli che spesso passano inosservati. Le silhouette sono il mio linguaggio, ma il cuore della mia ricerca si trova altrove: nelle persone, nei gesti, nei modi autentici in cui ci si veste nella vita reale, non sulle passerelle.
Sono attratta dalla verità, dall’essenziale. E convivo, da sempre, con un senso di inadeguatezza che mi ha fatto sentire “di passaggio” in ogni luogo. Oggi riconosco in quella fragilità una forza: è ciò che mi spinge a cercare, a osservare, a raccontare.
La mia creatività nasce lì, in quello spazio interiore. L’abito è il mezzo. La storia, la vera ragione. Ed è questo che desidero esprimere: un messaggio che parla a chi ha il coraggio di fermarsi e interrogarsi su ciò che esiste oltre il proprio mondo.

For me, fashion is not a starting point, but a container. A medium, a façade that allows me to explore and express what lives within me. Behind every collection lies a universe, and each garment is just a fragment, a trace of the story I want to tell.
About a year and a half ago, something began to call to me—a distant place: Bali. There was no clear reason, just a quiet, deep curiosity. Since I couldn’t go there physically, I found another way to get closer: an imaginary journey made of garments, sounds, images, and words. A window onto that world, seen from my desk. That’s when my perspective began to shift.
I realized that labels don’t define me. I refuse to be boxed in.
I love to travel, to observe, to be moved by the small details others might overlook. Silhouettes are my language, but the heart of my research lies elsewhere: in people, in gestures, in the way we dress in real life—not on the runway.
I’m drawn to truth, to what’s essential. And I’ve always lived with a sense of not quite belonging, of being “just passing through” wherever I go. Today, I recognize that fragility as a strength—it’s what drives me to seek, to observe, to narrate.
My creativity is born there, in that inner space.
The garment is the medium. The story is the reason. And that
s what I truly want to share: a message for those who have the courage to pause, to look, and to wonder what lies beyond their own world.