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Amanda Berti

Amanda Berti

University / School

LABA Firenze

AsèpsiA

Il mio portfolio racchiude un progetto che prende vita dall’atto chirurgico, un momento sospeso tra controllo tecnico e vulnerabilità umana, che diventa metafora di un linguaggio estetico mirato a esplorare ciò che ci rende esseri umani strutturalmente identici, al di là delle differenze esteriori. Le forme emergenti evocano una struttura interna condivisa: linee fluide che suggeriscono connessioni nascoste, volumi delicati che rimandano a spazi interiori comuni, superfici stratificate che rimandano a un’interiorità condivisa. In questo contesto, la scelta di materiali e cromie diventa astratta: non si tratta di rappresentare carne, ma di evocare l’essenza invisibile che abbiamo in comune. Al centro della visione c’è il principio dell’uguaglianza universale: indipendentemente dal colore della pelle, tutti condividiamo una dimensione anatomica e vitale sottile ma potente. Il corpo, come architettura nascosta, si fa ponte tra il singolo e il collettivo. Ogni capo diventa così un invito alla riflessione: non solo un gesto estetico, ma un linguaggio simbolico che mette in dialogo controllo e fragilità, tecnica e significato. La moda, in questa luce, si fa veicolo di un’intima universalità, e celebra la comune struttura invisibile che ci unisce più di ogni apparenza.

My portfolio encompasses a project that draws its essence from the surgical act, a moment suspended between technical control and human vulnerability, which becomes a metaphor for an aesthetic language aimed at exploring what makes us structurally identical as human beings, beyond external differences. The emerging forms evoke a shared internal structure: fluid lines suggesting hidden connections, delicate volumes recalling common inner spaces, stratified surfaces alluding to a collective interiority. In this context, the choice of materials and colors becomes abstract: it is not about representing flesh, but about evoking the invisible essence we all share. At the heart of this vision lies the principle of universal equality: regardless of skin color, we all share a subtle yet powerful anatomical and vital dimension. The body, as a hidden architecture, becomes a bridge between the individual and the collective. Each piece thus becomes an invitation to reflection: not merely an aesthetic gesture, but a symbolic language that intertwines control and fragility, technique and meaning. In this light, fashion becomes a vehicle of intimate universality, celebrating the invisible common structure that unites us beyond appearances.